Approfitto di un’esperienza vissuta in prima persona, per affrontare un argomento particolare, relativo al rapporto Atleta/Genitori/Tecnico. Ho assistito l’altro giorno ad una partita tra Maria (giovane mia allieva, classe 2003, con classifica 4.6, tutta da migliorare) e Gianna (una bambina un anno più grande di lei classifica 4.4 e 3 anni di esperienza di tornei in più rispetto a Maria). La partita si è conclusa a favore di Gianna per 6/4 4/6 7/5. Durante l’incontro Maria si è trovata in vantaggio 4 a 2 nel primo set, perso 6/4 e per 4 a 0 nel terzo set, perso per 7 a 5, dopo essersi trovata sotto 5/4 e aver annullato due match point.
La mamma di Maria, al termine, ha espresso un unico giudizio: “Maria oggi ha giocato un brutto incontro!” Non sono assolutamente d’accordo! Avesse perso Maria Sharapova contro Serena Williams in situazione analoga, sarei stato totalmente d’accordo con la mamma di Maria. Parlando, però, non di due campionesse, di due giocatrici già formate, ma di ragazzine ancora in crescita il discorso cambia. Il caso di Maria, una giocatrice alla nona o decima partita della sua vita tennistica, che affronta una bambina più grande di lei, di due categorie superiore, merita un’attenzione ed un’analisi del risultato (non solo numerico) e della prestazione totalmente differenti. Quello che ritengo importante giudicare è la prestazione di Maria! In particolare la sua voglia e la modalità di giocare, di fare attenzione, di “esserci”. Sul 4 a 2 nel primo set e poi sul 4 a 0 nel terzo set, come da lei stessa ha ammesso, si è sentita già vincitrice, ha pensato di avercela fatta, di aver terminato l’incontro. Complice anche l’avversaria, attenta a cambiare atteggiamento tattico, si è invece ritrovata 5 a 4 sotto, nel terzo. Questa è senza dubbio la prova di un limite di Maria. Ma la nostra è stata capace di “risvegliarsi dal sogno” e reagire, senza farsi prendere dallo sconforto. Ha continuato a lottare, ha annullato due match-point e ha perso poi per 7 5.
Non c’è dubbio, è sempre un dispiacere perdere un incontro, soprattutto dal 4 a 0 nel terzo!! Ma stiamo parlando di ragazzi in crescita! Non ritengo di poter essere d’accordo con la semplicistica opinione che “Maria abbia giocato un brutto incontro”.
Le indicazioni che il Maestro e l’allievo devono raccogliere da esperienze come questa sono altre. Il tecnico deve riconoscere la capacità tecnica e tattica di portarsi in vantaggio con una giocatrice di due categorie superiore (che da parte sua ha dimostrato di essere in grado di riconoscere la necessità di alternare momenti di ricerca tecnica a momenti in cui invece si è accontentata di ridurre al minimo i rischi); il Tecnico deve anche percepire i margini di miglioramento della sua allieva, affrontando altri aspetti, oltre quelli tecnico-tattici ed atletici su cui intervenire, quali la gestione dell’incontro e soprattutto delle emozioni.
Ho chiesto a Maria cosa avrebbe pensato se avesse vinto, e lei mi ha confidato (ed era scontato) che si sarebbe sentita forte e brava. Aggiungo che probabilmente si sarebbe sentita appagata, arrivata, e avrebbe ridotto la sua convinzione in allenamento, anche solo per qualche giorno o qualche settimana. L’aver perso invece le ha dato (a lei, ma anche al maestro) la motivazione, la rabbia per continuare a sudare e ad allenarsi e a capire quanto continuare a lottare ed impegnarsi anche sul risultato di 4 a 0 nel terzo set. Il compito del Maestro deve essere dunque quello di trovare sempre nuovi margini di miglioramento e nuovi stimoli per convincere gli allievi a continuare ad allenarsi con impegno, per creare i presupposti per una crescita. In questo senso anche le sconfitte risultano stimolanti e costruttive come e più delle vittorie, soprattutto a queste età e a questi livelli, se validamente inquadrate ed interpretate.
E i genitori? Se hanno deciso di affidarsi al Maestro devono riconoscere le sue competenze, la sua professionalità e assecondare le sue scelte, supportando, in famiglia, il proprio figlio nell’impegno a sentirsi motivato e disponibile a quanto utile per una crescita continua. Lo riconosco: tutto ciò non è facile, ma doveroso per creare le condizioni ideali per non mollare mai e per crederci…
Recentemente ho avuto la fortuna di vivere un’interessante esperienza a Perugia, in occasione di un Torneo di Macroarea, che ha visto coinvolti ragazzi e ragazze dagli 8 ai 16 anni, tutti già abbastanza predisposti a un contatto serio con il tennis. Ne ho visti di tutti i tipi, senza grosse esagerazioni, ma hanno quasi tutti mostrato un approccio non assillante ma serenamente impegnato agli incontri che li hanno visti protagonisti. Ho visto macchine da guerra di 8 anni, che si motivano in maniera costante ma educata (qualcuno magari ha provato ad esaltarsi più del necessario); ragazzini alle prime armi, spaesati ma ben instradati da genitori competenti e sereni; altri già capaci di districarsi nelle varie situazioni durante gli incontri, ma anche capaci di fronteggiare dinamiche sociali all’interno del circolo; under 16 già professionali. Ho visto ragazzi che si emozionano, ragazzini (di 9 anni) che con un gesto del tipo “stai, stai ci penso io” rassicurano il genitore che da bordo campo si agita e dà consigli.. Bambini che, dopo un incontro combattuto, lanciano la racchetta e vanno a abbracciare il padre convinti di aver finalmente vinto l’incontro, ma ai quali viene fatto notare che ancora sono 40 pari… Eppure riprendono a giocare e vincono dopo qualche punto, senza perdersi d’animo… E in tutto questo i genitori?
Una mamma, tesa e preoccupata, mi ha confessato, mentre appuntava ogni singolo punto giocato dalla sua bambina, “io per mia figlia farò quello che lei mi chiede e la asseconderò, perché lei vuole fare la tennista.. se poi non ci riuscirà avrà imparato che la vita è sacrificio, lotta e convinzione”. Un’altra mamma non ha fatto altro che parlare durante i colpi della figlia (di 14 anni…) dicendo “bene. Continua. Brava”! ma non a fine scambio, durante lo scambio… Un altro genitore mi diceva: “Mia figlia gioca. Non bene ma impara a organizzarsi, a lottare, a sacrificarsi, a gestire lo stress, le amicizie e le difficoltà”.
Ho ammirato una mamma, capace di non far trasparire la sua preoccupazione alla figlia che, impegnata a combattere la sua battaglia con se stessa prima che con l’avversaria (tra pianti sommessi, discreti, e difficilmente nascosti) è riuscita a vincere la sfida interna, l’incontro e il torneo!
ualcuno ha costretto la figlia a fingersi demotivata per non affrontare l’avversaria arrivata con mezz’ora di ritardo, prendendo vinto l’incontro… E, in tutto questo, che quadro del genitore tipo ne scaturisce?
Sia chiaro, i genitori sono impegnati e coinvolti quanto e, a volte, più dei propri figli (vivere le emozioni dall’esterno è sicuramente più difficile che in campo). I genitori sono responsabili di alcune scelte per i propri figli, per il loro futuro e per la loro crescita.
La mia idea è che il genitore debba svolgere il difficile ruolo di “accompagnatore”, ma non, come spesso si travisa, di “tassista”, bensì di colui che accompagna il proprio figlio nella crescita dal punto di vista tennistico, ma soprattutto da quello umano! Il genitore dovrebbe essere colui che controlla e verifica la crescita, la maturazione del proprio figlio, perche il tennis è palestra di vita!
E’ pleonastico ammettere che la vittoria è foriera di piacere e soddisfazione, ma a volte la visione in prospettiva futura è molto più remunerativa! E una sconfitta può insegnare parecchio.
E allora scegliere l’ambiente sano in cui collocare il proprio figlio per crescere e migliorare; insegnare il rispetto per gli amici, gli avversari e chi opera all’interno dell’ambiente sportivo (Istruttori, Arbitri, Custodi, ecc); educarli ad accettare il sacrificio, la sconfitta; insegnare a rispettare gli impegni e gli orari; insegnare ad organizzarsi e predisporre la propria vita in funzione del tennis, della famiglia, della scuola, ecc.. Sono questi i compiti che a mio parere un genitore dovrebbe assolvere. E tutto ciò con serenità (per lo meno apparente per non trasmettere tensione al figlio), decisione e con la dovuta pazienza per aspettare e riconoscere il momento dell’evoluzione tecnico/tattica e umana e con la giusta delicatezza e determinazione nel promuovere l’impegno proprio e del proprio figlio.
Facile, no?
Giuseppe Giordano
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